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Scopri Piana degli Albanesi: San Giorgio di Cappadocia

Nel giorno in cui festeggiamo San Giorgio, il nostro Santo Patrono, desideriamo donarvi il piacere di questa lettura. Si tratta di un articolo che anni fa chiesi al professor Stefano Schirò di scrivere in occasione della prima mostra su San Giorgio e sugli oggetti della fede che organizzai nel Museo Barbato.

Spero che anche voi la apprezziate anche perchè ci fa conoscere meglio il nostro venerato San Giorgio.

Ringrazio il fotografo Alessandro Ferrantelli per avere concesso l'uso delle sue fotografie che sempre ci donano grandi emozioni.


Salvatore Vasotti




SAN GIORGIO DI CAPPADOCIA


Non tutti sanno che il nome Cappadocia deriva dalla parola Katpadukya ossia terra dei bei cavalli. I suoi cavalli, infatti, sono celebri per essere stati offerti in dono al Re d’Assiria Sardanapalo, a Dario e Serse di Persia. Ma non solo, anche il candido destriero di san Giorgio sarà di certo stato originario di questa affascinante regione. In realtà nel sangue di Giorgio scorreva una matrice persiana da parte del padre Geronzio e una cappadoce per via della madre Policronia. Esistono copiose fonti a cui attingere onde ricostruire l’agiografia del santo in questione. Citiamo in ordine cronologico: un’epigrafe greca del 368 rinvenuta in Eaccaea di Batanea che tramanda la presenza di una “casa dei santi e trionfanti martiri Giorgio e compagni”; la passio Georgii, classificata però tra le opere apocrife dal Decretum gelasianum (496); l’opera De situ terrae sanctae (ca. 530) di Teodosio Perigeta in cui si scrive di un sepolcro dedicato al santo venerato a Lydda (Diospoli) in Palestina, ciò risulta corroborato dagli scritti di qualche decennio successivi di Antonino da Piacenza (ca. 570) nonché nel De Locis sanctis di Adamnano (ca. 670). I documenti posteriori complicano fino all’inverosimile la leggenda che solo tardivamente si abbellisce del poetico episodio del drago e della fanciulla liberata dal santo (1). Tale leggenda ebbe una facile diffusione in Egitto, dove le stilizzazioni dell’arte interessarono sicuramente una scena (di cui un esemplare si trova ora al Louvre) affine a quella di Giorgio e il drago, raffigurante il dio Horu, purificatore del Nilo, cavaliere dalla testa di falco e in uniforme romana, in atto di trafiggere un coccodrillo tra le zampe del cavallo.




Fin dalla concezione Giorgio (2) è predestinato a grandi cose ; la sua nascita porta tanta gioia ai genitori che lo educano religiosamente fino al momento in cui entra nel servizio militare. Il martirio avvenne sotto Daciano (3) (che però in tante recensioni viene sostituito da Diocleziano) il quale convoca settantadue re per decidere le misure da prendere contro i cristiani. Giorgio di Cappadocia, ufficiale delle milizie, distribuisce i beni ai poveri, e davanti alla corte si confessa cristiano; all’invito dell’imperatore di sacrificare agli dèi si rifiuta ed iniziano le numerose e spettacolari scene di martirio. Giorgio viene battuto, sospeso, lacerato e gettato in carcere, dove ha una visione del Signore che gli predice sette anni di tormenti, tre volte la morte e tre la resurrezione. Quindi ha la meglio sul mago Atanasio ( il quale tenta di avvelenarlo) che si converte e viene martirizzato; tagliato in due con una ruota irta di chiodi e spade, Giorgio risuscita convertendo il magister militum Anatolio e tutte le sue schiere che vengono passate a fil di spada. A richiesta del re Tarquillino risuscita diciassette persone morte da quattrocentosessant’anni, le battezza e le fa sparire; entra in un tempio pagano e con un alito abbatte gli idoli. L’imperatrice Alessandra si converte e viene martirizzata; l’imperatore lo condanna nuovamente a morte e il santo, prima di essere decapitato, implora da Dio che l’imperatore e i settantadue re siano inceneriti; esaudita la sua preghiera si lascia decollare promettendo protezione a chi onorerà le sue reliquie. La qualità dei supplizi richiama il mito di Perseo e Andromeda, e la famosa storia del drago, senza il quale non possiamo immaginare la figura di san Giorgio, si legge con tutti i suoi particolari nel Martirio di san Teodoro e nella insostituibile Legenda Aurea di Jacopo da Varagine. Quest’ultimo autore rende in maniera icastica il racconto, vivacizzandolo con l’uso appropriatissimo del discorso diretto. Dà così voce al re amareggiato, che non potendo in nessun modo salvare la figlia preda del drago, la agghinda di vesti regali e abbracciandola dice fra le lacrime: “Ahimè! Figlia mia dolcissima, io speravo di invitare i principi alle tue nozze, di ornare di perle il mio palazzo e d’ascoltare l’allegro suono dei timpani e degli organi; invece tu diverrai preda del drago!”. La virilità di Giorgio cavaliere si irradia dalle sue stesse parole, forti come un colpo di spada quando si rivolge al prefetto che lo vuole vanamente convertire al paganesimo: “Mi chiamo Giorgio, discendo da una nobile famiglia della Cappadocia e con l’aiuto di Dio ho combattuto in Palestina; ma tutto ho lasciato per poter meglio servire Iddio che è nei cieli”. Lo scrittore cita anche Ambrogio, ciò presuppone una imprescindibile conoscenza degli scritti patristici. Descrive inoltre con labor limae i vari supplizi a cui viene sottoposto il “beato Giorgio” menzionando anche quello, orripilante, dell’immersione nella caldaia di piombo fuso: “S. Giorgio si fece il segno della croce e vi entrò: ed ecco che per divino aiuto vi si bagnò come in una tiepida acqua”. Giacomo da Varazze ci regala anche delle pagine narrative gustosissime, nitide come un paesaggio fiammingo su tela: “S. Giorgio, originario della Cappadocia e tribuno nell’armata romana, giunse una volta alla città di Silene, in Libia. Vicino a questa città vi era uno stagno grande come il mare in cui si nascondeva un orribile drago che più volte aveva messo in fuga il popolo armato contro di lui...”. Tale leggenda ha contribuito a fissare l’iconografia del baldanzoso santo a cavallo nell’atto di uccidere il drago, riscontrabile non solo nelle icone bizantine, ma anche nell’ambito scultoreo (del sec. XIII il bassorilievo della porta di S. Giorgio a Firenze, la statua del portico della cattedrale di Chartres e facendo un grande salto cronologico la statua di Girolamo Bagnasco ubicata nella chiesa di S. Giorgio di Piana degli Albanesi (4) del 1832), nei mirabili cicli di affreschi dei conventi del monte Athos e della Serbia, nonché nelle opere di Paolo Uccello, Mantegna, Correggio, Pisanello, Carpaccio, Raffaello, in molti manoscritti medievali e nell’arte orafa in cui eccelle tra tutte il brezi, cintura con borchia centrale in cui sovente vi è scolpito il santo in esame. In tale sede è d’uopo limitarsi ad un succinto elenco. In riferimento alla leggenda anzidetta giova ricordare che l’epopea cavalleresca fiorita alla corte estense intorno all’Orlando furioso di Ludovico Ariosto, simboleggia probabilmente, nei due personaggi di Ruggero e Angelica, le figure di Giorgio e della principessa.


San Giorgio ha riscosso una grandissima venerazione popolare, a testimonianza di ciò sono le innumerevoli chiese dedicate al suo nome, sia in oriente che in occidente. A Gerusalemme esisteva per esempio nel sec. VI un monastero con chiesa a lui dedicata come attesta un’epigrafe coeva, così come a Ravenna. Dalla capitale bizantina il culto si estese ben presto a Ferrara (ca. 657); a Napoli già agli inizi del sec. V il vescovo Severo fondava la basilica di S. Giorgio Maggiore. Nei paesi bizantini fu venerato, unito a s. Demetrio, con l’appellativo di “Dioscuri cristiani” (5) . In Germania sono a lui intitolate molte acque ritenute miracolose; mentre nei paesi slavi si conservano consuetudini di origine pagana in riferimento all’inizio della primavera.


In Inghilterra, la fama del martire palestinese risultava già ampiamente diffusa sin dall’epoca anglosassone, ma il suo culto assunse ancora maggiore sviluppo dopo la conquista normanna (sec. XI). Molti sono stati i re inglesi legati in qualche modo con il santo: Riccardo I durante la III Crociata disse di aver visto il santo con lucente armatura guidare le truppe cristiane alla vittoria; Edoardo III introdusse il famoso grido di battaglia St. George for England, e fondò nel 1348 l’Ordine di S. Giorgio, detto “della Giarrettiera”.


Giorgio è protettore, con s. Sebastiano e s. Maurizio, dei cavalieri e dei soldati, degli arcieri e degli alabardieri, degli armaioli, dei piumaroli (elmo) e dei sellai; era invocato contro i serpenti velenosi, la peste, la lebbra e la sifilide e, nei paesi slavi, contro le streghe.


A Piana degli Albanesi, la cui festa del santo si celebra, secondo il calendario orientale, il 23 aprile (6), molti hanno l’onore di chiamarsi Giorgio, ciò conferisce ad essi, ma questo è l’umile giudizio dello scrivente, un fascino particolare. In Inghilterra invece numerose locande portano il nome di S. Giorgio, come ricorda anche Shakespeare nel sontuoso Re Giovanni (atto II, 288); una filastrocca recitata dai bambini dell’Inghilterra settentrionale canta s. Giorgio come cavaliere coraggioso (7).


Stefano Schirò

con somma devozione

Bibliografia:

Balboni D.- Celletti M. C., Giorgio in Bibliotheca Sanctorum, Città Nuova editrice, Roma 1965, ad vocem.

Bulley M. F., St. George for Marrie England, Londra 1908.

Da Varaggine J., Leggenda Aurea, Libreria Editrice Fiorentina, Firenze 1985.

Guttilla M., Mirabile Artificio 2, Palermo 2010.

Stylianon A., The pointed churches of Cyprus, Cipro 1964.



NOTE

1 Ricordiamo inoltre svariati panegirici e biografie romanzate, nonché i “sacri misteri” che celebrano il martire; nel sec. XV era in grande voga il Ludus draconis, che venne in seguito imitato dai “giuochi” delle corti rinascimentali.


2 L’etimologia del termine (= agricoltore) ha dato luogo ad originali commenti dell’analogo brano evangelico (Io. 15, 1-7).


3 Circa l’anno del martirio il Ruinart, seguendo il Chronicon alexandrinum seu pashale (PG, XCVI, col. 680) fissa il 284; altri il 249-51; altri ancora, interpretando come Diocleziano il nome di Daciano, lo pongono al 303.


4 Cfr. M. Guttilla, Mirabile Artificio 2, Palermo 2010, pp. 194-195.


5 Cfr. A. Stylianon, The pointed churches of Cyprus, Cipro 1964, p. 145.


6 Alla stessa data lo commemora il Calendario marmoreo di Napoli del sec. IX, di spiccata influenza bizantina; anche le Chiese occidentali fissano la commemorazione anniversaria del martirio al 23 aprile e solo le chiese dell’Italia settentrionale riportano la celebrazione al giorno seguente (24).


7 M. F. Bulley, St. George for Marrie England, Londra 1908, p. 30.

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