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Araldica arbëreshe, di Luigi Taibi

Aggiornamento: 10 gen 2023

I cognomi in uso a Piana degli Albanesi e nelle comunità albanofone diffuse in italia hanno sempre destato grande curiosità riguardo la loro origine.

Questa ricerca condotta dal dottore Luigi Taibi, che ha concesso a visitpiana.com la pubblicazione di un estratto, ci consente di rintracciare molti dei cognomi ancora in uso e molto diffusi.

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Salvatore Vasotti




Schirò Piana degli Albanesi
Santuario Maria SS. Odigitria: simbolo araldico famiglia Schirò (foto Alessandro Ferrantelli)

Con la caduta dell'Impero Romano d'occidente (476 d.c.), Bisanzio divenne il centro della ricostituita unità mediterranea, ponendosi come mediatore negli scambi spirituali e commerciali tra Oriente e Occidente. Ma l'equilibrio ristabilito durò fino all'VIII secolo d.C..

A partire dal IX secolo, a causa dello sgretolamento dell'unità mediterranea, dovuta alla presenza dei Mussulmani iniziò la crisi del potere bizantino che avrà il suo epilogo nel XIV sec. quando, nel maggio del 1453, Bisanzio sarà occupata dall'esercito guidato da Maometto II (1), I Turchi Ottomani erano penetrati in Asia Minore già tra il XIII e il XIV sec.; con la caduta della capitale della Cristianità bizantina, tentarono di raggiungere l'Europa centrale (2), al fine di realizzare il disegno di occupazione militare quale preludio dell'islamizzazione dell'Antico Continente e la definitiva cancellazione della civiltà occidentale cristiana. L'aggressione militare turco-ottomana, infatti, proseguirà sino al XVII secolo, determinando il sorgere di una situazione di grande instabilità e incertezza politica. Il progetto ottomano avrebbe potuto realizzarsi speditamente se nei Balcani, dopo la sconfitta della Bulgaria, della Serbia e della Bosnia, l'Albania non si fosse proposta come ultimo baluardo della cristianità che per oltre 25 anni in turchi cercarono invano di superare (3).

Le prime fasi dell'invasione dell'Albania videro trionfare la superiorità degli eserciti invasori. La compattezza militare dei turchi, ispirati al principio dispotico unitario, in molte occasioni, prevalse sulle piccole formazioni militari albanesi, che invece

di combattere unendo le proprie forze, si trovarono a fronteggiare l'avanzata nemica senza una effettiva organizzazione, scarsamente equipaggiati e, soprattutto, senza una guida unitaria, dacché esse erano capeggiate dai rispettivi principi locali (4). Cosi una dopo l'altra caddero Tirana, Valkale, Dibra (5), Girocastra, Kanina, Dukati (6),

Una svolta nella guerra anti-turca si ebbe con l'improvvisa decisione di Giorgio Kastriota, allevato e cresciuto presso la corte del Sultano, di schierarsi dalla parte dei suoi connazionali e di intraprendere con decisione la via dell'unificazione politica e militare dello stato dell'Arbèria. A Lezhè nel 1444 il Kastriota - noto anche con lo pseudonimo di Iskanderbeg 'Principe Alessandro", che gli attribuirono i Turhi al fine di esaltare le sue prodezze guerriere e il suo genio militare - riuscì a riunire i principi albanesi e a formare un esercito, di modeste dimensioni ma agguerrito e militarmente ben organizzato, che seppe tener testa alle ripetute invasioni ottomane. Kastriota stabili a Kruja la capitale del nuovo stato albanese e sfruttando il vantaggio che gli offriva il territorio albanese, prevalentemente montuoso e non adatto agli scontri frontali, obbligò i Turchi a rallentare la loro invasione e ad attendere tempi più propizi. Sicché, sino al 1468, anno della morte di Scanderbeg, l'occupazione dei Balcani segnò il passo. È a partire da questa data, che i Turchi ripresero con slancio e rinnovato vigore il loro piano di destabilizzazione dei Balcani. In rapida successione caddero le principali città albanesi, Scutari, Durazzo, Valona e finalmente Kruja, città-simbolo dell'ex stato che Kastriota era riuscito a creare, per la prima volta, nella storia dell'Albania. Fu questo il periodo più critico per il popolo albanese, che, perduta la sua unità politica e militare, vedeva sfaldarsi uno dopo l'altro i capisaldi della sua resistenza all'occupazione. Lo scoramento e la paura di essere assoggettati da un nemico così diverso per lingua, cultura, religione e civiltà, indusse molti ad esplorare le vie di fuga più estreme.

E in questo contesto, infatti, che molti si determinarono a seguire la via dell'espatrio verso l'Italia. L'esodo fu il prologo della fondazione delle «colonie» in terra di Sicilia e nell'Italia meridionale.

La scelta delle coste italiane non fu casuale. A parte le ovvie considerazioni di

ordine geografico, occorre anche rimarcare il fatto che già nei secoli precedenti, se non si vuole risalire addirittura alle emigrazioni delle tribù illiriche progenitrici degli albanesi moderni (Messapi e Japigi), si erano avuti esodi di genti albanesi in Italia.

Come ricorda il Valentini, a partire dal IV fino al XVII secolo, senza soluzione di continuità si ebbero più correnti migratorie, delle quali almeno due percorsero le medesime vie (7).

La prima, dalle regioni della Bosnia, Serbia e Kosova (8), dirette verso Scutari e nei

territori del Ducagino, della Dibra, dell'Emathia di Barlezio, costituendo vere e proprie tribù conosciute col nome di Malisori (9). Erano montanari che avevano costruito i loro villaggi in montagna e si riconoscevano come affiliati alla tribù (principale) dei Miréditi di Orosh, discendenti del valoroso commilitone di Scanderbeg, Gjon Marku.

La loro tribù aveva una costituzione aristocratica basata sul codice di Lek Dugagjini (10).

L'altro flusso migratorio vide uno spostamento dalle regioni settentrionali dell'Albania in direzione della Grecia e della Morea. Attraversando tutto il territorio, passando per il centro, fino al sud, molte tribù vi si stanziarono gettando le basi

per le prime comunitià. Anche nell'Albania centrale, come in quella settentrionale.

le popolazioni montanare osservavano norme consuetudinarie chiamate, in questa area, leggi di Scanderbeg. Tra queste vanno ricordate gli Spathioti della contrada Spatria nel distretto di Elbasan; e infine i Chimarioti del monte Chimera (11) e gli Acrocerauni (12), all'estremità del vecchio Epiro, sotto le leggi della Laberia (13).

Approfittando della crisi dell'Impero bizantino, le principali famiglie albanesi si erano costituite in signorie, ognuna delle quali controllava vaste aree, si riconosceva in un capo o principe del territorio ed aveva un proprio esercito. I signori delle terre erano solo primi inter pares tra tanti altri capi delle singole contrade o tribù (14).

Tra queste ricordiamo: i Kurbi del basso Matja, da cui deriverebbe il cognome

Corbini; Shala che riuniva le famiglie Lopes, tra Rriolli e Grizha e tra Filati e Cameria;

i Mazi capostipiti dei Masi del Malacassi e di Janina; seguirebbero, sempre in ordine di

antichità (15), la tribu dei Kuçi originari della Podgorica; Sgrui o Sgroi nei pressi di Tirana

da cui discenderebbero gli Schirò; Mesha nel villaggio di Muriqi e nelle terre di Croja

e di Matja che hanno dato il cognome Messa o Messi; la tribù dei Martaneshi, sempre

nelle montagne di Tirana, capostipiti dei Marchesi; i Matessi nella valle del Matia e nel

Ducagini, che diedero i Matesi; i Bua la potente tribù degli Acrocerauni (16), che inclusero anche la comunità degli Spatos (17), signori di Angelocastro in Morea e presenti anche

in Arcadia, Zante e Arta.

I Masarachi o Masreku dei Castrista, che estendevano la loro influenza dal Matja al Dukagjin; i Mazarachi dei Malacassi, che lo Schirò traduce in Bonacasa, ed appaiono tra i fondatori di Palazzo Adriano (18), stanziati nella regione del Pindo e della Malacastra; seguono gli Hoti da cui discendono gli Hote; i Rriolli formata dalle famiglie Congàj e Cökaj, presenti nell'eparchia di Patrasso, antenati dei Riolo; i Suli; i Shala dei Sciales originari delle montagne est di Scutari; i Clementi che figurano tra le prime famiglie della Morea; i Bitiqi dei Krieziu nelle montagne di Jakova, e infine la tribù dei Lòtaj di Shala, antenati dei Lotà.

Vanno inoltre ricordate tutte quelle famiglie di stirpe nobile che secondo il Valentini non formerebbero tribù: i Gropa, i Musachia, fondatori insieme a Lala e Busicchi di Contessa Entellina; i Matranga a capo dei Coronei (19), i Bellusha; i Dara; i Grampsi da cui deriverebbero i Gramsci; i Clessi capostipiti dei Clesceri attuali; i Manèsi o Manisi, tra i fondatori di Palazzo Adriano; i Blessi o attuali Plescia (20), secondo Sathas, di Janina; i Cambissi, i Busichi; i Carnesi; i Borgia del sud di Valona,

e dalle parti di Bilishti; i Doresa di Tirana; i Peta o Petta della regione di Peta e della

Libëria di Valona, mentre sarebbero originari di Andro quelli presenti in Sicilia; i Golemi di Loja, Basso Scutari, Kroja e Durazzo; i Barbati della tribù Gashi nelle montagne di Jokova; i Kraspi o Campisi della Malacassa, gli Helmi, ormai scomparsi, che appaiono nei registri di nascita dell'archivio della chiesa di San Demerio a Piana degli Albanesi (21), i Lascari, gli Sqadhà, i Kalimani, gli Zalapi, i Costantini, gli Ales, i Chetta, gli Stasi, i Dorangriqi, i Guzeta, i Rada, i Mandalà, gli Zamandà, gli Schilizzi, i Ciulla, i Camalò, e infine i Luccheresi e i Duçi.

Semplificando si nota come nove stirpi provenivano dal nord: Barbati, Bellusha, Cambissi, Clementi, Dara, Hote, Riolo, Sciales. Tre coprivano l'area nord-centro Clessi, Messi e Reres. Dodici famiglie si trovano dislocate indifferentemente dal nord al sud: Barçia, Breshëri, Clossi, Cuccia, Golemi, Gramsci, Helmi, Manesi, Masarachi, Masi, Matesi, Plescia. Cinque solo al nord e al sud: Carnesi, Duçi, Lopsi, Losha, Lotà, Suli. Sette al centro: Basta, Busichi, Curbi, Gropa, Marchesi, Matranga, Sguro. Quattro al centro e al sud: Borgia, Dorsa, Musacchia, Spata. E infine sette famiglie solo al sud: Bua, Calabresi, Glaviano, Ipsari, Licuresi, Bonacasa e Peta (22).

Per quanto riguarda la loro organizzazione politico-militare-territoriale, il primo gradino era rappresentato dal villaggio (Katund), che raggruppava famiglie di diversa fratellanza o di diversa tribù. A sua volta le singole tribù si dividevano in bandiere, o intere famiglie, che portavano il cognome del loro capostipite, chiamato alfiere (23).

La coesione interna della tribù era data dalla comune origine gentilizia, che trovava in essa i legami con le famiglie di altri villaggi; ed era inoltre assicurata dalle istituzioni interne rappresentate: dal capo unico, dalla merà, ossia terreno comune di pascolo o di coltivazione, e infine dalla bandiera portata in guerra dall'alfiere e sotto cui si arruolavano tutti i militari che si riconoscevano appartenenti ad essa (24),

Le più comuni erano quelle raffiguranti lo stemma della Repubblica di Venezia, che fin dal 1204 si era impadronita dell'Albania e dell'Epiro, e arruolava soldati per difendere le terre (25). Poi venivano aggiunti vari simboli che cambiavano da tribù a tribù e che ne identificavano la corporazione d'appartenenza.

Tra queste potremmo ricordare quella della famiglia Xhileri di Valona che portava un'agata cerchiata d'oro e incisa con tre alberi e una pia iscrizione (26). Per quanto riguarda l'uso prettamente familiare, si usava coprire la testa della sposa con un velo rituale, rappresentato proprio dalla bandiera della tribù o della corporazione cui apparteneva lo sposo. Questo in segno d'augurio affinché la sposa potesse rifornire di nuovi e validi guerrieri la comunità (27).

Di segni distintivi, come dice il Valentini, se ne potrebbero elencare parecchi, tra questi potremo considerare il costume tradizionale, che variava da regione a regione, e distingueva ogni individuo appartenente ad una determinata tribù (28).

Cambiavano i colori, le stoffe (29), gli ori abbinati, e in particolare modo l'elemento centrale della cinta (brezi) che variava per le dimensioni e per gli elementi simbolici raffigurati, esclusivi per ogni tribù.

Alla luce di queste constatazioni sembra lecito supporre che l'attuale brezi sia in questo modo per un inevitabile processo evolutivo che l'ha modificato nella sua peculiare raffigurazione simbolica: la necessità di porre un segno evidente che li distinguesse dalla religione mussulmana (30), punto fondamentale per essere accolti in terra cristiana; le varie dominazioni che si sono susseguite in Sicilia, in particolar modo quella spagnola che ha lasciato segni evidenti proprio nell'arte e nel decoro, così anche l'Inquisizione (31) che appartiene storicamente a quel periodo ad opera di Ferdinando il Cattolico. Queste potrebbero essere le motivazioni portanti che hanno suggerito una nuova simbologia "devozionale" in sostituzione di quella proveniente dalle terre d'origine. Il brezi attuale (32), infatti, mostra i patroni del paese, ed altri santi realizzati su commissione, presenti anche nelle chiese albanesi già prima dell'esodo in Italia (33). Nelle decorazioni l'oro ha sostituito la filigrana, mentre la cinta un tempo formata da elementi uniti da anelli, è ottenuta da placche d'argento unite e snodate per mezzo di finissimi perni.

La migrazione stradiotica (34) verso la Morea e la Grecia, iniziata nel corso del VI

sec., raggiunse il suo apice durante il XV sec., quando caduta l'Albania, le varie tribù

si spostarono in terra di Grecia, dove si sentivano più protette dai Turchi.

Le nuove popolazioni si mischiarono a quelle già presenti, inglobandole, o finirono

per prendere il nome delle tribù ànas (autoctoni). Condivisero idee, costumi, scrittura e religione, come avvenne per la maggior parte dei Toski (bassa Albania) (35) da cui discendiamo.

Dopo le ultime battaglie contro i Turchi intorno al 1485, i nostri antenati presero la via dell'esilio su delle navi veneziane, diretti in Sicilia e nell'Italia meridionale dove fondarono le colonie (36). Complessivamente si ebbero sette trasmigrazioni: la prima nel 1448 durante il regno di Alfonso I, la seconda nel 1461, la terza nel 1467, la quarta durante il regno di Carlo V d'Austria nel 1534, la quinta nel 1647 sotto Filippo III, la sesta nel 1744 con Carlo III e infine nel 1774 con Ferdinando I re delle due Sicilie. Ognuno di loro mostrò la propria gratitudine verso gli albanesi, per i servigi resi alla corona, onorandoli di vari diplomi, benefici e aiuti economici (37).



La fondazione di Piana degli Albanesi

La fondazione di Piana degli Albanesi, come attestano i capitoli di fondazione, risale al 1488 (38) e gli esuli che intervennero in quell'atto furono in nome proprio e in rappresentanza di tutti gli albanesi: Giovanni Barbato, Pietro Bua, Giorgio Golemi, Giovanni Schirò, Giovanni Macaluso, Tommaso Jani, Antonio Troja, Matteo Mazza, Teodoro Dragotta, Giorgio Burlesci, Giovanni Parrino, Giorgio Ipsari, Giovanni Canniti, Giorgio Bruscari (39). Si conveniva inoltre che nei feudi concessi dall'arcivescovo di Monreale (Merco e Dingoli), entro tre anni dall'insediamento, gli albanesi erano tenuti ad edificare le loro abitazioni e ad avviare l'agricoltura per il sostentamento. Pena il ritiro delle stesse terre.

Come ha rilevato Rosalba Catalano in "Piana degli Albanesi e il suo territorio": il paese venne diviso in quartieri che presero il nome delle contrade, delle chiese e delle famiglie più ricche e più potenti emigrate dall'Albania, rispettando in questo modo l'organizzazione tribale della terra d'origine, regolata dalle norme consuetudinarie sopraccitate. Ricordiamo il quartiere delli Matranghi, Bovi, Cuccia, Mandalà, Flocca, Parrini, Petta, Schirò e Guzzetta (40).

E anche in questo caso, sulla base della documentazione raccolta, è possibile affermare che ognuna di quelle famiglie portava dei segni di riconoscimento, prevalentemente costituiti da simboli araldici.

Considerato che il centro di riferimento d'ogni quartiere era rappresentato dalle chiese, le nobili famiglie vollero incidere al loro interno il proprio stemma gentilizio, a testimonianza del contributo offerto per la loro costruzione.

Questi, o esistevano prima del loro arrivo o furono riprodotti su commissione. A riprova di quanto detto possiamo considerare lo stemma gentilizio della famiglia Masi che appare in quello comunale di Biancavilla (41).

Così come lo stemma gentilizio dei Guzzetta (42), che nel documento preso in considerazione risulta firmato da Francesco Gramigniani, un abile grafico-incisore

del tempo, che anche il conte Manzoni incaricò di realizzare un dipinto della Vergine Maria Odigitria custodito dagli eredi della nobile famiglia albanese di Piana.

Gli stemmi gentilizi che, elaborati al computer, saranno proposti in un prossimo contributo, provengono dall'archivio diocesano di San Demetrio, dalle cappelle interne alla chiesa madre dell'Odigitria, di San Nicola e dalle informazioni raccolte in Vistari, Te Dhèu i Hùaj (43).


Dott. Luigi Taibi

Psicopedagogista


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NOTE A PIÈ DI PAGINA








NOTE

  1. ROBERTO CESSI, Oriente e Occidente nel Medio Evo in Questioni di Storia Medioevale, Marzorati, Milano 1946, p. 147. Cfr. SALVATORE PETROTTA, Albanesi in Sicilia, Storia e Cultura, ESA, Palermo, 1966, pp. 17-18; INDRO MONTANELLI, Storia D'Italia, vol. 1, L'Italia della controriforma, Varese 2003.

  2. "nel 1326 Uricano, figlio di Osmano fondatore della stirpe e della potenza osmanlica, estese in tutta l'Asia minore il suo dominio. Nel 1357 s'impadronì di Gallipoli, mettendo così la sua prima Sede In Europa; GIORGIO COSTANTINI, Studi Storici, a cura di Pietro Manali, "Quaderni di Biblos", Palermo 2000, p. 28.

  3. Cfr. DEMETRIO CAMARDA, Discorso preliminare, in Appendice al saggio di Grammatologia Comparata sulla lingua Albanese (ristampa anastatica), Grafiche Renna, Palermo, 1989, p. XLVI

  4. IVI, p. XI.VIII.

  5. GIUSEPPE SCHIRÒ, Te Dhèu i Hùaj. Poema in lingua albanese, Palermo Scuola tipografica"Boccone del Povero" 194, canto II "gli antenati" vv. 319-324, ora anche in Idem, Opere, IV, a cura di Matteo Mandalà, Rubettino editore, Soveria Manelli, 1997.

  6. Cfr. ZIJA SHKODRA, Esafet Shiptare ( Sbekujt XV - XX A Tirane, 1973; GIUSEPPE SCHIRO, Te Dhèu i Hùaj, cit., pp. 65-67, ora anche in IDEM, Opere, IV, cit., pp. 59-61

  7. Cfr. GAETANO PETROTTA, Svolgimento storico della cultura e della letteratura albanese, Palermo 1950; AA. VV., Les Illyriens. Aperçu Historique, sous la direction de Selim Islami, Tirane, 1985 AA.VV., Dialetti Italo-Albanesi e letteratura, Atti del XV Congresso Internazionale di Studi Albanesi, a cura di Antonino Guzzetta, Palermo 24-28 Novembre 1982, Pp. 15-16.

  8. Cfr. GIUSEPPE: VALENTINI S.J., Sviluppi onomastico-toponomastici tribali delle comunità albanesi in Sicilia, estratto dal Bollettino del Centro di Studi Filologici e linguistici Siciliani, Vol. IlI, G. Mori e figli, Palermo 1955 p. 5; ora anche in IDEM, Albanesi in Sicilia, a cura di Matteo Mandalà, Albanica 16, A. C. Mirror, Palermo 2003, p. 39; NICOLÒ CHETTA, Tesoro di notizie su dè Macedoni, introduzione di Matteo Mandalà, trascrizione di Giuseppe Fucarino, Helix Media Editore, Contessa Entellina, 2002, pp. 193-198.

  9. Cfr. DEMETRIO CAMARDA, Appendice, cit., p. I..

  10. Cfr. Studime e tekste, Dega 1, Jurdiken 1, 'Tiranë, Istituti i Studimevet Shqiptare, 1944.

  11. Cfr. GAETANO PETROTTA, Svolgimento,cit., pp. 19-21

  12. Cfr. GIUSEPPE SCHIRÒ, Canti tradizionali ed altri saggi delle colonie albanesi in Sicilia, r.a. Comune di Piana degli Albanesi, Palermo, 1986, p. LXX.

  13. Cfr. ISMET ELEZI, Sul diritto consuetudinario albanese, in La nuova Albania, 5/80; NUNZIO DELL'ERBA, Storia dell'Albania, Enciclopedia Newton.

  14. Cfr. DEMETRIO CAMARDA, Appendice, cit., p. XLVII; FULVIO CORDIGNANO, Studi Albanesi, La vita della montagna, vol. 7, istituto per l'Europa orientale, Roma, 1931, p. 63-87.

  15. Cfr. GIUSEPPE: VALENTINI S.j Sviluppi, cit., p. 10.

  16. IVI, p. 11

  17. G. SCHIRÒ, Canti tradizionali, cit, p. LXXI.

  18. IVI, p. XXVII.

  19. IVI, p. XXXIV.

  20. GIUSEPPE VALENTINI SJ, Sviluppi cit., p. 5, nota 94

  21. Ho potuto constatare personalmente il cognome Helmi presso l'archivio di San Demetrio di Piana degli Albanesi come riferisce anche il Valentini.

  22. Cfr. GIUSEPPI: VALENTINI, Il diritto delle comuità nella tradizione giuridica albanese. Generalità, Valecchi editore, 1956

  23. Cfr. AA. VV., Studi Albanesi, Istituto per l'Europa orientale, Roma 1930, pp. 65.

  24. Cfr. FULVIO CORDIGNANO, L'Albania, Istituto per l'Europa orientale, Roma 1931.

  25. IVI, pp. 65-66.

  26. Cfr. PAOLO PETTA, Stradioti. Soldati albanesi in Italia (sec. XV-XIX) Collana il Pianetascritto, 31, Bisanzio. G. MONTI, Due documenti sconosciuti sull'Albania di Alfonso 1 d'Aragona, in "Studi Albanesi", Istituto per l'Europa orientale, Roma 1930, pp.44-46; GAETANO PETROTTA, Studi di Storia e letteratura albanese, a cura di Matteo Mandalà, A. C. Mirror, p:11.

  27. AA.VV: Studime e Tekste, Juridike n.1, cit., p. 15. GIUSEPPE VALENTINI, Il diritto, cit., p.203

  28. Cfr. FULVIO CORDIGNANO, La vita della montagna, cit., p. 65.

  29. Cfr. IKBAL MUSTAFA, Motive popullore sigiptare tekstili e trikotzhi, Universiteti Shteteror i Tiranes, Istituti i gjuhesise, Sektori i Ethnografise, Tiranè 1959.

  30. Cfr. NICOLÒ CHETTA, Tesoro, cit., pp. 324-326.

  31. GASPARE: SCARCEILA, L'inquisizione in Sicilia.

  32. Anche il sig, Sergio Lucito, orafo di Piana degli Albanesi, presente in tutte le mostre internazionali con gli ori di Piana, ritiene che il brezi abbia seguito una progressiva evoluzione ricostruibile sulla base di queste motivazioni.

  33. Cfr. NICOLÒ CHETTA, Tesoro, cit., pp. 245-246.

  34. Cfr. GIUSEPPE VALENTINI, Il diritto, cit., p. 215, n. 22.

  35. Cfr. DEMETRIO CAMARDA, Appendice, cit., p. L.V; GAETANO PETROTTA, Svolgimento, cit., P. 15.

  36. GJOVALIN SHKURTAJ, Shpirti i arbrit rron, Shtëpia Botuese, Tiranè, 1984.

  37. TOMMASO MORELLI, Cenni storici sulla venuta degli albanesi nel Regno delle due Sicilie, stabilimento del Guttemberg, Napoli, 1842; cfr. anche GIUSEPPE SCHIRÒ, Gli Albanesi e la questione balcanica in IDEM, Opere, vol. IX, a cura di Matteo Mandalà, Rubettino editore, Soveria Manelli, 1997, pp. 213-215; GJOVALIN SHKURTAJ, Shpirti ...., cit. TOMMASO MORELLI, Cenni ...., cit.

  38. GIUSEPPE LA MANTIA, I capitoli delle colonie greco-albanesi di Sicilia, Regione siciliana, Il' edizione, 2004.

  39. IVI, p. 38; PIETRO SCAGLIONE, Historia e Shgipëtarevet t'Italisë, New York 1921, p. 62.

  40. ROSALBA CATALANO, Piana degli Albanesi e il suo territorio fonti documenti e progetti di sviluppo, A.C. Mirror, Palermo, 2003, pp. 48-19,

  41. La fondazione di Biancavilla, alla fine del XVI sec., è dovuta ad altri albanesi che, capitanati da Cesare Masi, vennero in trattativa con Tommaso Moncada, conte di Adornò; GIUSEPPE SCHIRÒ, Canti tradizionali, cit, p. XXVI.

  42. Vedere foto elaborate.

  43. GIUSEPPE SCHIRÒ, Vistari, Te Dhèu i Hùaj (ed. del 1940), in Opere, vol. Ill, a cura di Matteo Mandalà, Rubettino, Soneria Mannelli, 1998.


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